TRINITAPOLI - È stata veramente una serata speciale quella che la comunità trinitapolese ha trascorso mercoledì 18 luglio nell’Auditorium dell’Assunta. Gli interpreti dello spettacolo teatrale “L’Isola” (promosso dalla Comunità Oasi 2 San Francesco onlus e diretto dall’attore Francesco Tammacco) hanno commosso il folto pubblico presente recitando un testo molto significativo che, tra l’altro, ha evidenziato la competenza acquisita nella lingua italiana dai ragazzi stranieri ospiti da circa un anno dello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) di Molfetta.
L’isola è una “metafora” che viviamo tutti i giorni, perché parla di alterità e diversità.
Un giorno, in un tempo indefinito, giunge su un’isola, abitata da gente di colore, uno straniero, un bianco, e scatena mille domande fra gli isolani: da dove viene? Perché è qui? Cosa fa qui? Il testo teatrale diventa così occasione per interrogarsi sui temi dell’accoglienza, dell’inclusione e dell’integrazione. È una storia rovesciata che vede sul palcoscenico un bianco, prima accolto e nutrito e poi picchiato, imprigionato e ridotto alla fame da un popolo di neri che, in maggioranza, temono che possa portare sventure e malattie. Il consiglio del villaggio decide di ributtare lo straniero in mare, ignorando posizioni minoritarie più umane.
E Kaluscha che mette la parola fine alla performance con queste parole: “La prima volta che ti ho visto straniero non ho avuto paura. Mi attraeva il colore della tua pelle diversa, del tuo mondo possibile diverso. Poi tutti hanno detto che potevi essere un pericolo, un ladro, un mostro per i nostri bambini. Che potevi portarci le malattie. Ed allora ho capito che mi faceva paura il non allinearmi, difenderti, per quello che ne sarebbe conseguito. Noi dobbiamo fare come i bambini: essere bambini se vogliamo salvare l’umanità. Fai buon viaggio figlio di un Dio marino. Fai buon viaggio.”
Lacrime e applausi dopo questo invito a ridiventare bambini per salvare l’umanità, perché i bambini non accetterebbero mai di sopprimere un essere umano che respira, soffre, gioisce e gioca come loro. I bambini sanno meglio degli adulti che “l’uomo nero” esiste solo nelle storie di chi vuole spaventarli.
ANTONIETTA D’INTRONO