TRINITAPOLI - Il Censis, il Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964, divenuto Fondazione nel 1973. La 57^ edizione del Rapporto Censis, resa pubblica nei primi giorni di dicembre, ha affrontato i temi di maggior interesse emersi nel corso del 2023 relativi all’economia, ai nuovi fermenti e alle inquietudini, ed ha delineato il ritratto di una società italiana di sonnambuli, ciechi dinanzi ai presagi.
Abbiamo letto i dati e le valutazioni del prestigioso centro studi sui quotidiani italiani più letti e abbiamo avuto modo anche di sorridere su quanto emerso ascoltando l’attrice Sabina Guzzanti che ha ironizzato sul “sonnambulismo” degli italiani nella sua performance tenuta nella trasmissione “Propaganda Live” andata in onda venerdì 8 dicembre scorso. (Video)
In verità, appare alquanto strano che nessun dirigente politico, né di governo né di opposizione, abbia ritenuto necessario intervenire su questo ultimo rapporto Censis sullo stato del Paese, un silenzio singolare, perché il lavoro del nostro principale centro di ricerca sociologica fornisce una radiografia delle condizioni in cui l’Italia sta incubando il suo futuro, materia prima, in sintesi, per una politica che voglia cogliere queste tendenze proponendo analisi e soluzioni.
Scrivono i ricercatori: “La società italiana sembra affetta da sonnambulismo, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti”. Riferendosi alle generazioni più giovani, i ricercatori parlano di “dissenso senza conflitto dei giovani, esuli in fuga (sono più di 36.000 gli emigrati di 18-34 anni, solo nell’ultimo anno)”.
Una condizione, quella del sonnambulo sociale, che attraversa trasversalmente l’intera cartografia sociale, come si legge nel rapporto che insiste sul fatto che il sonnambulismo non attiene “solo alle classi dirigenti: è un fenomeno diffuso nella ‘maggioranza silenziosa’ degli italiani, resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56,0% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società”.
È una sorta di rivoluzione passiva - direbbe Antonio Gramsci - in cui il disagio sociale, che pure è avvertito, crea più che movimenti di rivolta, solo un brusio, ancora meglio “un ronzio, di sciami in cui ogni singolo si industria per sfuggire alla propria condizione di subalternità, sia costruendo tane sociali in cui rifugiarsi, sia cercando protezioni corporative e neonazionalistiche, che ci proteggano dall’insidia di una globalizzazione senza regole”.
Uno stato di prostrazione, a cui si reagisce con un graduale ritiro della delega alla politica, testimoniato dagli ormai permanenti dati di astensionismo e di bassa partecipazione alla vita dei partiti.
Sebbene i partiti politici non godano più della considerazione di un tempo, essi sono sempre un anello fondamentale del processo democratico, poiché esercitano un ruolo determinante per il funzionamento degli organi costituzionali dello Stato e di altre istituzioni anche non statali. Infatti, l’art. 49 della Costituzione della Repubblica Italiana cita espressamente i partiti politici come organizzazioni costituite dai cittadini per determinare la politica nazionale.
La speranza è che i partiti riprendano ad esercitare il loro ruolo anche nel nostro paese che rischia, da quanto rilevato nel rapporto del Censis, di diventare tra una decina di anni un paese di vecchi, a causa della flessione demografica e della fuga dei giovani all’estero.
ANTONIETTA D’INTRONO