TRINITAPOLI - Molti trinitapolesi pensano che il Parco Archeologico e il Museo degli Ipogei abbiano solo una mamma adottiva, l’archeologa Anna Maria Tunzi. Invece, esiste anche un padre adottivo che forse nessuno ricorda più.
La sezione dell’Archeoclub di Trinitapoli, già dal 1974, anno della sua fondazione, aveva cominciato a chiedere a gran voce a tutte le istituzioni locali, regionali e nazionali di continuare non solo a scavare nell’antica Salapia/Salpi, preda di tombaroli molto esperti, ma anche di cominciare a programmare l’apertura di un museo per conservarne e diffonderne memoria. Erano tempi duri per le amministrazioni locali che sicuramente non consideravano affatto una priorità uno scavo archeologico o un museo, dopo che schiere di disoccupati manifestavano in piazza Umberto I e famiglie di sfrattati avevano occupato il Municipio, lesionato dal terremoto del 1980 e trasferito nell’attuale scuola elementare “Rodari”.
In questo burrascoso contesto sociale si inserisce la battaglia che alcuni componenti dell’amministrazione dell’epoca, guidata dal sindaco Arcangelo Sannicandro, intrapresero nei loro partiti, nelle commissioni consigliari e in consiglio per prospettare per il paese un futuro più prosperoso basato non solo sull’agricoltura ma anche sull’archeologia.
Erano anche tempi in cui ogni decisione amministrativa di rilievo passava al vaglio di assemblee popolari di quartiere e di partito. Discussioni, volantini, direttivi, assemblee, urla, tazebao pro e contro si moltiplicarono in tutte le sezioni ma si attutirono di fronte ad una “capatosta”, quella dell’assessore alla cultura dell’epoca, il socialista Giuseppe Filipponio.
Direttore dei servizi generali ed amministrativi della scuola elementare di Trinitapoli, in gioventù aveva coltivato soprattutto l’amore per il calcio, giocando nelle squadre locali sino all’età di 37 anni. La politica fu una passione della maturità, condivisa con la poesia e la campagna. In alcune occasioni veniva definito un poeta prestato alla politica ed in altre, invece, un contadino prestato sia alla poesia che alla politica.
Se qualche studioso del futuro ricostruirà la storia degli anni ’80 del secolo scorso, l’assessore Giuseppe Filipponio sarà indicato come “colui che, alla guida di un piccolo gruppo di ribelli facinorosi (tra cui la sottoscritta) si batté per far finanziare gli scavi archeologici che hanno dato luce agli Ipogei e con essi alla città di Trinitapoli”. Sembrava assurdo spendere 25 milioni di vecchie lire per scavare sotto terra in un periodo di crisi economica gravissimo, con il rischio di non trovare nulla di archeologicamente significativo.
Fummo fortunati.
Gli ipogei videro la luce grazie alla competenza dell’allora giovanissima archeologa Anna Maria Tunzi, in attesa del suo primo figlio, e alla lungimiranza di una amministrazione che seppe prevedere il futuro sviluppo di Trinitapoli anche attraverso il “turismo culturale”, un’idea ritenuta folle in quegli anni.
Iniziò, così, un cammino impervio ma colmo di sorprendenti scoperte, durato più di 20 anni, che ha portato all’istituzione del Museo e del Parco Archeologico.
Il poeta Giuseppe Filipponio aveva sognato sino alla sua morte di trattenere a Trinitapoli tutti i giovani che andavano a lavorare a Milano, come scrisse in una sua famosa poesia in dialetto casalino “Chidd ca se ne vonn a Milano”.
L’emigrazione c’è ancora ma esistono anche gli ipogei, le nostre miniere sotterranee che, con una più intensa campagna propagandistica e con l’impegno di altri “sognatori” potrebbero attirare visitatori da tutto il mondo, in ogni periodo dell’anno.
ANTONIETTA D’INTRONO (Foto: Giuseppe Beltotto)