La storia di un quartiere che non ha ancora scritto la parola “fine” alla sua epopea

TRINITAPOLI - Nel dopoguerra, l’UNRRA CASAS (Comitato amministrativo soccorso ai senzatetto) avviò la sua opera incrementando l’offerta abitativa in Italia attraverso la costruzione di circa 205 nuovi complessi edilizi (tra cui Trinitapoli) denominati “villaggi”. Le costruzioni furono realizzate nelle zone più depresse e colpite economicamente dalla guerra, con una struttura antitetica ai grandi agglomerati edilizi. Le caratteristiche di tali abitazioni, infatti, sono riconducibili alla filosofia del CASAS che intendeva, attraverso l’assegnazione di abitazioni vivibili e a misura d’uomo, tutelare l’espressione della personalità e della comunità, con il fine ultimo di “assistere e riabilitare attraverso l’edilizia”.

Le palazzine di Trinitapoli furono costruite velocemente negli anni ’50 e negli anni successivi si completarono tutte le infrastrutture del quartiere.

L’usura del tempo rese necessari lavori di restauro negli anni 2000. Provvidenziale fu l’emanazione da parte della Regione Puglia del PIRP, il Programma Integrato di Riqualificazione delle Periferie, che fu approvato in consiglio comunale nel 2010.

Il progetto PIRP mirava a dare nuova dignità al quartiere UNRRA CASAS.

La novità dei PIRP era di considerare la riqualificazione di un contesto urbano non solo attraverso la ristrutturazione delle case ma anche attraverso la costruzione di centri di aggregazione e di aree di socialità che avrebbero favorito il miglioramento complessivo della qualità di vita dei residenti.

La richiesta di finanziamento prevedeva la partecipazione attiva degli abitanti, finalizzata a garantire interventi che rispondessero ai loro reali bisogni. La gestione delle numerose riunioni, che furono fatte in una sala annessa alla Parrocchia Madonna di Loreto, fu affidata dal comune all’Agenzia per l’Inclusione Sociale del Patto Territoriale. In quegli incontri si elaborarono “La carta dei diritti dei bambini” e “La carta dei diritti delle donne”, e a conclusione del ciclo di consultazioni venne fuori la proposta di costruire due strutture di aggregazione sociale di supporto al quartiere, una dedicata ai bambini e l’altra agli adulti e agli anziani.

Attualmente, nella prima è stata sistemata una delle due biblioteche comunali che funziona per 9 ore alla settimana nelle mattinate del lunedì, mercoledì e venerdì. La seconda, invece, è ancora in attesa di diventare un centro sociale pubblico.

13 anni non sono stati sufficienti per completare il restauro di tutte le palazzine. Ne mancano ancora sette. Uno dei due centri di aggregazione, infine, non si è neanche avviato.

Il quartiere ha una lunga ed interessante storia, legata anche al coraggio di una grande donna, che in questi giorni è narrata sui pannelli in mostra nella biblioteca di viale Primo Maggio.

I residenti non riescono ancora a scrivere la parola “fine” ad una epopea decennale di lotte e di sacrifici.

ANTONIETTA D’INTRONO

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