TRINITAPOLI - Franco Carulli è nato a Parghelia in provincia di Vibo Valentia da genitori originari di Gravina in Puglia e vive a Trinitapoli fin da bambino. Seguendo le orme di suo padre e di suo nonno ha percorso una brillante carriera lavorativa all’interno delle Ferrovie dello Stato, dall’assunzione come Capo Stazione fino a ricoprire un ruolo di responsabilità e direzione nel settore di “Sviluppo Rete e Servizi” di Rete Ferroviaria Italiana, che ha mantenuto fino al pensionamento dello scorso dicembre. A questa scelta lavorativa è approdato dopo aver interrotto a metà strada il corso di studi universitari in Medicina e Chirurgia. Nella sua formazione umana, culturale e politica hanno sicuramente pesato sia la frequentazione dei Missionari Comboniani, dalla prima media al primo superiore, che quella del Liceo Scientifico di Barletta dove ha scoperto la sua passione per la politica.
Durante questo periodo di studi, incontra due grandi amori: il primo è sua moglie Marta, che sposerà dopo nove anni e con la quale, oltre a condividere le scelte politiche, darà vita ai suoi tre figli: Alessio, Ivan e Luca; il secondo è il Partito Comunista Italiano. A 18 anni promuove l’apertura di una sezione autonoma della FGCI (Federazione Giovanile Comunisti Italiani), di cui diventa segretario. Nel 1983, a 26 anni, viene eletto per la prima volta Consigliere comunale, carica che ricopre ininterrottamente fino al 1997.
Quando nel 1991 il PCI si scioglie per costituirsi nel Partito Democratico di Sinistra, Franco Carulli non segue quella scelta e apre, con molti suoi compagni, una delle sezioni italiane più partecipate e attive del Partito della Rifondazione Comunista, ricoprendone l’incarico di Segretario.
Nel 1993 la sezione di Rifondazione Comunista contribuisce, con il PdS e il PSI, alla vittoria della lista capeggiata dall’avvocato Giuseppe Brandi, eleggendo ben 4 Consiglieri comunali (Geremia Buonarota, Pinuccio Biccari, Franco Carulli, Pippo Mirra). In quell’amministrazione, Franco Carulli diventa assessore all’Urbanistica, incarico che lascerà dopo circa un anno per divergenze interne su come concepire lo sviluppo urbanistico di Trinitapoli.
Entra nella Segreteria Provinciale di Rifondazione Comunista e nel 2001, l’allora Presidente della Provincia di Foggia, Dott. Antonio Pellegrino, gli conferisce l’incarico di grande responsabilità di dirigere l’Agenzia Provinciale dei Trasporti.
Hai militato, sin dall’inizio del tuo impegno politico, nella sinistra. Quali sono state le motivazioni della tua scelta?
«Premesso che ho avuto un papà cattolico e democristiano molto vicino al pensiero di Aldo Moro, posso affermare che la prima motivazione è derivata quasi paradossalmente dall’incontro con i Missionari Comboniani, che rappresentavano un esempio, forse unico, di impegno sociale concreto e non semplicemente caritatevole verso i popoli sfruttati del terzo mondo.
Hanno fatto il resto le lezioni della mia bravissima professoressa di Lettere Gadaleta, i movimenti studenteschi ancora vivi negli anni Settanta, la lettura delle opere di Antonio Gramsci e le riviste come “Rinascita” che mi passava l’amico e compagno Franco Di Biase.
Con quelle letture ho preso le distanze da una forma di cattolicesimo e di politica che, negli anni Settanta, impregnava il potere costituito per guardare alle istanze di giustizia sociale che provenivano dalla classe operaia e dalle aree più sfruttate dalle potenze del capitalismo moderno».
Le scissioni dei partiti della sinistra cosiddetta radicale hanno attutito la carica ideale dei militanti. Ritieni che sia più necessario alla classe operaia un partito “a sinistra del PD”, oppure un Partito Democratico unitario che non cancelli la parola “sinistra” e che non faccia più la corsa al “centro”?
«Credo che prima ancora delle scissioni, abbia contribuito al disfacimento della passione ideale dei militanti l’aver assecondato, da parte dei gruppi dirigenti seguiti alla morte di Berlinguer, il pensiero unico, sostenuto negli ultimi 30 anni da una vigorosa offensiva politica e culturale del capitalismo italiano. Una delle idee forti di questo pensiero è stata quella di far venir meno la funzione storica che ai partiti veniva riconosciuta dalla Carta Costituzionale, declassandoli da fucine ben organizzate in cui si sviluppava il sapere politico di massa e si formavano i gruppi dirigenti a contenitori vuoti. Del cosiddetto “partito leggero”, si è fatto un uso personale con gli ormai consueti contrasti di potere ai vertici in concomitanza dei momenti elettorali. Fatta salva quindi la più nobile storia del Partito della Rifondazione Comunista, la cui nascita traeva ragioni da una rottura di profilo storico e ideale, le altre scissioni sono avvenute, per usare un eufemismo, per logiche di leadership. Alla tua domanda rispondo quindi che la sinistra, per riscoprire i suoi valori e i suoi ideali autentici, avrebbe bisogno di ricreare un partito che torni ad essere uno spazio collettivo in cui poter riprendere quello che, con una metafora molto efficacie, un compagno su Facebook definisce il “ballo sociale”.
Se tutto questo possa realizzarsi attraverso una fase costituente, dentro o fuori il PD, dipende dalla spinta che riusciranno a dare i tanti compagni di base che credono ancora nella sinistra».
Sei stato più volte coinvolto nelle amministrazioni locali del passato. Quale è stata l’esperienza politica più significativa che hai catalogato nel tuo archivio personale?
«Le migliori esperienze politiche sono quelle che hanno uno sguardo lungo nei programmi e una visione di mondo e di società da realizzare che si basi su ideali e valori ben riconoscibili, che per me sono di sinistra. Nel caso dell’amministrazione di una città questa idea di politica si può concretizzare con scelte che permettano di disegnare una comunità più giusta e solidale in cui vi sia per tutti lo stesso livello dei servizi come la scuola, la cultura, le reti materiali e immateriali. In questa direzione si mosse nel 1983 l’amministrazione di sinistra guidata da Arcangelo Sannicandro, di cui feci parte come consigliere comunale di maggioranza. Un programma ambizioso e di lungo respiro che riguardò diversi settori: l’avvio della zona 167 che permise l’accesso di molti cittadini all’edilizia economica e popolare; l’espansione della rete fognaria a molti quartieri che fino ad allora ne erano privi; la realizzazione della rete del metano che, a differenza della gran parte dei comuni conferì a Trinitapoli anche entrate finanziarie, essendo restata di proprietà comunale; un massiccio intervento di edilizia scolastica che permise l’eliminazione dei doppi e tripli turni nelle scuole; l’avvio di una prima campagna di scavi che fece emergere il tesoro sotterraneo dei nostri Ipogei e una nuova stagione di attenzione verso i temi della cultura nel nostro territorio. Quell’esperienza significò una traccia di lavoro per tutte le amministrazioni di sinistra che seguirono e alle quali presi parte negli anni successivi e che sono andate perdendosi con quelle recenti di centrodestra di cui si nota solo una piatta gestione dell’esistente».
Scorgi qualche piccola luce nel tunnel che la politica ha imboccato in questa fase storica di buio pesto?
«Per restare alle origini del mio credo politico, penso di poter ricordare a questo proposito quanto affermò Gramsci dal carcere: “Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.
Da questa convinzione prese stimolo la sua grande opera politica e culturale dell’uomo che contribuì alla nascita del più grande partito comunista dell’occidente.
È questa una testimonianza che mi ha sempre sostenuto anche negli anni in cui era evidente il declino di quella forza politica e degli ideali che essa rappresentava. Ho continuato a battermi affinché quelle idee fossero sempre trasmesse agli altri e alle future generazioni come un seme pronto a germogliare non appena si sarebbero presentate condizioni migliori.
È di qualche giorno fa l’iniziativa intrapresa da un nutrito e combattivo gruppo di giovani, di cui fanno parte anche i miei figli, che ha deciso di dar vita alla sezione trinitapolese dell’Associazione Nazionale Partigiani. Ragazzi che hanno deciso di intraprendere un nuovo impegno politico nel nome dell’antifascismo, proprio nel momento in cui è in corso la desertificazione del campo politico che aveva sempre difeso e sostenuto gli ideali della Resistenza e gli alti valori sociali e democratici che da essa sono stati trasfusi nella nostra Costituzione».
ANTONIETTA D’INTRONO